La legge italiana consente alle coppie che non possono avere figli di ricorrere alla fecondazione assistita. Proprio perché i trattamenti di fecondazione assistita sono un momento molto delicato nella vita di una coppia, in particolar modo in quella di una donna, è molto importante che vengano seguiti alcuni accorgimenti e che questo periodo venga affrontato con la giusta tranquillità.
Per questi motivi, l’Inps riconosce a chiunque faccia ricorso ai trattamenti di PMA l’assenza retributiva da lavoro. Nello specifico, si ha diritto a tre settimane di malattia retribuita, così distinti:
– una settimana prima del transfer, ossia del trasferimento dell’embrione nell’utero;
– due settimane dopo il transfer.
Per avvalersi di questo diritto, occorre richiedere l’astensione da lavoro motivata da fecondazione assistita come cura dell’infertilità. Vengono considerati come assenza giustificata anche i giorni di ricovero in day hospital.
Oltre i giorni in cui si effettua il transfer, si possono richiedere permessi lavorativi durante tutto il periodo di cura, purché siano previsti dalla contrattazione collettiva nazionale. Se è necessario effettuare solo il monitoraggio ovulatorio o sottoporsi ad altri controlli specifici che durano solo il tempo di una visita, non sarà necessario prendere i giorni di assenza per malattia, ma basterà richiedere i permessi previsi dal contratto collettivo nazionale; ad esempio, sono previsti i normali permessi orari che prevedono il tempo di fare una visita e poi tornare a lavoro.
Quindi, alcuni permessi possono essere richiesti al datore di lavoro, a meno che il medico non riscontri la necessità di prescrivere un tempo più lungo di riposo. In questo caso, il medico può decidere di prescrivere al paziente fino a una settimana di assenza giustificata o prima o dopo il transfer. All’uomo, invece, in caso di prelievo di spermatozoi, può essere concesso un periodo di assenza fino a 10 giorni.